La grande abbuffata

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dall’omonimo film di Marco Ferreri
drammaturgia di Francesco Maria Asselta e Michele Sinisi
con Stefano Braschi, Ninni Bruschetta, Gianni D’Addario
Claudia Marsicano e Donato Paternoster
regia Michele Sinisi
produzione Elsinor centro di Produzione Teatrale, Teatro Metastasio di Prato

La Grande abbuffata è un racconto umano e artistico nel senso più concreto. Gli interpreti dello
spettacolo sono, come nel film, presenti coi loro stessi nomi, per chiarire ulteriormente il risvolto
umano dell’opera sul pubblico, così come volle Ferreri. L’obiettivo dell’autore era farne lo specchio
del tempo, in cui la società occidentale evidentemente mostrava i segni dello sgretolamento, in cui
la struttura storica e le radici del suo stesso pensiero conclamavano il principio della fase
dissolutoria. Tutto questo è passato non però attraverso una narrazione pedante, moralizzante, nè
tantomeno per il tramite di una provocazione esibita in modo pretestuoso e gratuito. Il calore
dell’amicizia permette ai quattro personaggi di condividere l’aspetto primordiale della vita ch’è
semplicemente il sentirla al cospetto della morte, il momento della reale libertà di ognuno. Quella
sicurezza, quella bellezza dello stare assieme senza giudizi, permette loro di riappropriarsi del
presente in totale contatto con gli aspetti fisiologici della nostra esistenza: mangiare e fare sesso.
In questo patto tra i quattro si assiste a ciò che il mangiare e il sesso sono già diventati per la
società dell’epoca (si parla del 1973): hanno chiaramente assunto una funzione diversa dal
naturale ruolo nutritivo e riproduttivo, son divenuti culturalmente segni opulenti dell’attestazione del potere, del desiderio di conquistare la vita e di comandarla, di governarla in assoluto
governandone anche la fine. Questa relazione è metafora di un’abbuffata progredita oggi, ad
esempio, nella consuetudine con cui un reportage su catastrofi naturali, su fatti di cronaca
sconvolgenti, sono intervallati da pubblicità di prodotti di consumo e subito dopo da richieste di
aiuto per popolazioni del terzo mondo da parte di onlus che fatturano a 7 zeri grazie all’offerta
catartica per il nostro senso di colpa. Questo, oggi come allora, avviene ad una velocità e ad uno stordimento tale per cui l’aspetto fisiologico cede il passo ad un ingurgitare ansioso e inquieto. Si è schiacciati dalle nostre possibilità, la spettacolarizzazione dell’esistenza riflette all’infinito le
opportunità di scelta rendendoci privi di fondamento naturale. La voglia e il desiderio indotto dal
sistema culturale annullano ogni contatto con l’esistenza fisiologica, così come tra azione e
responsabilità, e si vive in una bolla per cui il dolore e la necessità dell’aria, quanto l’amore e il
sesso, diventano occasioni rivoluzionarie difficili da gestire tanto quanto il mistero del primo vagito
di un neonato. Arriviamo alla teorizzazione dell’attimo e del principio di ogni agire, abbracciando
un’ignoranza vitale e biologica tale per cui l’istinto selvaggio sbocca in un accumulo mostruoso e
autodistruttivo di ogni frammento di accadimento panico.
La scena è lo spazio per l’esperienza che i quattro amici hanno deciso di vivere. Il piacere assoluto del mangiare e del sesso è tale per cui la vita stessa di ciascuno non può sopportare tanta conoscenza. E’ il corpo a riprendere possesso del presente, lì dove la testa è arrivata ad invadere ogni spazio vitale. Il sapere dell’essere umano mi interessa per il modo con cui coinvolge il corpo nel momento della sua stessa trasmissione, nell’atto della condivisione di ciò che si è imparato e s’è capito. C’è un punto in cui il corpo e la mente vivono insieme la consapevolezza di ogni istante che passa. Forse lì si nasconde il naturale senso del tutto, che da quando abbiamo cominciato a ragionare ci fa dire Dio, fortuna, destino, speranza, paura e felicità e altre parole simili.

Michele Sinisi

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