DECADENZE

Calendario rappresentazioni

di Steven Berkoff

regia Giovanni Arezzo

con Francesco Bernava e Alice Sgroi

assistente alla regia Giada Caponetti

costumista Grazia Cassetti

disegno luci Simone Raimondo

musiche originali Orazio Magrì e Giuseppe Rizzo

grafica Maria Grazia Marano

organizzazione Filippo Trepepi

produzione MezzARIA

compagnia MezzARIA

SPETTACOLO VINCITORE DEL PREMIO “CATANIA PREMIA CATANIA”

Note di regia

Siamo nell’immenso open space di un attico lussuoso. Qui vive Helen, ed è appena entrato in casa Steve. Steve è sposato con Sybil, ma è con Helen che va a letto e con cui ha una relazione. Stasera, proprio stasera, Sybil ha mandato Les, il suo amante, a pedinare Steve, suo marito, per smascherarne finalmente e senza dubbi la fedifragia. Ora, Les è sotto casa di Helen.

C’è un classico intreccio di tradimenti alla base della trama di Decadenze, capolavoro scritto del drammaturgo inglese Steven Berkoff nel 1981. Ma le corna che sbucano dalle teste di tutti i personaggi della storia sono soltanto un espediente, la base narrativa su cui costruire un’analisi spietata, senza scampo, crudele e spaventosamente credibile, di cosa può e sa essere oggi l’essere umano, di quello che sono diventati i rapporti tra le anime, le relazioni tra le teste, le polifonie dei cuori, di che cosa sta diventando (o è diventato già?) il mondo.

I personaggi di Decadenze sono personaggi pieni, parossistici, eccessivi, in tutto: amano in modo eccessivo, odiano in modo eccessivo, e così parlano, mangiano, scopano, fumano, bevono, soffrono, si vestono, si mentono, urlano, ridono, rischiano, dimenticano, rivendicano. Eccessivi nel desiderio, eccessivi nelle azioni, eccessivi nelle conseguenze. Eppure così piccoli e così simili a noi, nostro malgrado.

Come da consiglio dell’autore, che lo scrive nella prima pagina del testo, a interpretare i quattro personaggi di Decadenze saranno soltanto due attori. Nel mio caso, sono con me in questo viaggio Francesco Bernava e Alice Sgroi, che in un gioco di deliri visivi e acustici, di frenesia e silenzi, spostano gli occhi dello spettatore a spiare ora Steve ed Helen e ora Les e Sybil.

I versi, perché Decadenze è scritto in versi separati l’uno dall’altro dallo slash, con la loro identità linguistica, ricercata e mai banale, finanche nelle volgarità e nelle bassezze, la complessità sintattica, la scansione metrica, riempiono ogni tipo di spazio, in maniera tale che ho voluto che fossero l’unico elemento su cui costruire questa storia. Versi così necessari, così incisivi che se pensati, se vissuti, se scanditi in azioni e reazioni dagli attori, diventano l’unica “scenografia” possibile.

Il nostro lavoro, dopo uno studio profondo del testo di Berkoff, è stato quello di creare un immaginario comune a noi tutti, che andasse dal luogo dove si svolge l’azione a tutto ciò che riguarda la biografia dei personaggi, andando a zoommare sulle relazioni che intercorrono tra loro, sulle aspettative, sulle volontà, sulle (non)prospettive, sugli incidenti. A questo abbiamo affiancato uno studio minuzioso sul suono del verso, sulle rime, sulle assonanze, sulle pause, cercando di restituire la musicalità che senz’altro ha il testo in lingua originale, e che può avere anche in italiano grazie alla splendida traduzione di Giuseppe Manfridi e Carlotta Clerici.

La soundtrack originale di Orazio Magrì (in arte binauralscientist) mischia la tradizione e l’elettronica, archi e beat, atmosfere scure e a tratti distorte e psichedeliche che restituiscono l’umore delle anime di chi è sul palco.

Il disegno luci di Simone Raimondo evoca i diversi spazi della narrazione, quello della realtà e quello della mente, con rigide geometrie ora larghe e rassicuranti, ora strette e claustrofobiche.

I costumi di Grazia Cassetti sono le macchie di vernice su una tela monocroma, la spensieratezza che contrasta con la realtà, l’aspettativa immediatamente delusa di una serata (o di tutta la vita?) che poteva essere completamente diversa, e se i colori dentro noi non ci sono più, l’unica cosa che possiamo fare è metterceli addosso, toglierli, rimetterli.

Decadenze parla della direzione che stiamo prendendo, tutti, a velocità folle, e senza rendercene conto. E parla anche, indirettamente e oggi più che mai, della necessità del Teatro, che è l’unico Luogo all’interno del quale possiamo riuscire a guardarci allo specchio.

Giovanni Arezzo

Mezzaria Teatro

Mezzaria Teatro nasce con l’obiettivo di tenere aperto e vivo un dialogo culturale con le realtà del territorio, tenendo uno sguardo sempre alto e attento oltre i suoi confini.

Nell’aprile 2017 la compagnia ha debuttato con lo spettacolo Aquiloni, scritto da A. Sgroi, F. Bernava e N. A. Orofino, spettacolo che ha partecipato al Premio Città di Leonforte vincendo quattro premi (miglior spettacolo, miglior regia, miglior attrice, miglior attore). Nell’estate del 2017 Mezzaria ha collaborato alla produzione di Delirio, ispirato a Delirio a due di E. Ionesco, con F. Bernava e A. Ferlito, diretti da N. A. Orofino, debuttando al Teatro degli Atti di Rimini.

Nel settembre 2018 è stato il turno di Shots, uno spettacolo ispirato ai racconti di Bukowski, con F. Bernava e A. Sgroi. Nell’ottobre 2018 il corto teatrale Trentacentimetri, estratto da Shots, ha vinto il premio per la miglior regia al Festival Nazionale dei corti teatrali “O Curt”, del Centro Teatro Spazio di S. Giorgio a Cremano (NA). Nel febbraio 2019 ha debuttato Mein Kampf, per la regia di N. A. Orofino e con G. Arezzo, F. Bernava, E. Doria, L. Fiorino e A. Sgroi. Nell’ottobre 2019 vi è stata l’organizzazione della prima rassegna teatrale interamente organizzata dalla compagnia, dal titolo Olodrammi. Nel novembre 2019 la compagnia ha presentato Cicoria, scritto e diretto da Francesco Romengo, con A. Sgroi e F. Bernava.

Motivazioni del premio

Decadenze, del drammaturgo, attore e regista inglese, Steven Berkoff, è un feroce atto d’accusa alla società inglese degli anni Settanta che colpisce l’intera società occidentale e che è da ritenersi estremamente attuale.

Merito del progetto di Giovanni Arezzo, per Mezzaria Teatro, è quello di allargare lo sguardo alla drammaturgia contemporanea europea e, in particolare inglese, caratterizzata da sperimentazione linguistica e fascinazione per il linguaggio, rifiuto della società del guadagno, capacità di sondare, senza ipocrisia, aspetti primordiali dell’essere umano.

La particolare qualità drammaturgica, allo stesso tempo, violenta ed evocativa, fanno di questo testo un perfetto banco di prova sia per le capacità attoriali che registiche, fornendo tutti i registri, dall’invettiva, ai giochi di parole, al linguaggio denso e ricco, a quello scabro e violento.

Anche lo stile presenta una forte esuberanza verbale e visiva, un incalzare metrico generatore di straordinari ritmi ed energie (che si prestano a sperimentare le possibilità vibratorie, sonore e musicali insite nel testo), laddove la parola è portatrice totale del fatto che accade in scena e le immagini di si fanno carico di densità emotiva e dissacrante ironia.

Informazioni

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