Cinque per cinque per cinque, uguale? Avanti Veloce. O del bisogno di porre domande, senza la pretesa di dare risposte

27/01/2021

Sarà banale chiederlo, ma meglio cominciare dall’inizio: da dove nasce il titolo Avanti Veloce?
Avanti veloce (clic qui per visualizzare le clip su YouTube) nasce da un’esigenza precisa del e nel tempo che viviamo. Nell’accezione positiva di guardare oltre ogni ostacolo, la velocità non è correre e non è superficialità. Anzi. È andare dritti a una meta. È focalizzare lo scopo preciso, attraverso la sintesi, di arrivare al particolare. Guardare avanti. Costruire un futuro. Inoltre nella recitazione, “in avanti” è una tecnica precisa di scorrevolezza del pensiero, di concretezza del sentire e della condivisione. In questo momento storico dove siamo obbligati ad una pausa, secondo me, la reazione migliore è non fermarsi mai. E ogni pausa può diventare un’opportunità per ripartire con maggiore slancio emotivo, culturale, artistico.

Sei particolarmente legato al numero cinque? Per Avanti Veloce hai immaginato 5 autori teatrali siciliani (Tino Caspanello, Rosario Lisma, Rosario Palazzolo, Lina Prosa, Luana Rondinelli), 5 attori del TSC (oltre a te: Egle Doria, Giovanni Arezzo, Alessandra Barbagallo, Barbara Giordano) e monologhi da 5 minuti… Cosa c’è dentro questo 5 alla terza? Ha un significato preciso o è un modo, come un altro, per dirci: “Prendetevi cinque minuti e vi racconteremo una storia”?
Potrei perdermi nella numerologia, nella cabala, nella smorfia. In riflessioni poetiche e filosofiche.
Ma molto concretamente 5 minuti, rappresentano il tempo necessario, e minimo, per raccontare una storia. Da quei 5 minuti ho sviluppato il progetto per multipli di 5.
Vorrei dire una cosa però, forse non c’entra con la domanda, ma il progetto è formato da 5 Donne (tra Drammaturghe e Attrici) e da 5 Uomini (tra Drammaturghi e Attori) e poi c’è una sesta Donna (la videomaker Giovanna Mangiù): mi piace che siamo 11 (10 + 1), che rappresenta la Forza, lo scavalcare la decina e andare avanti (veloce) e mi piace che ci siano più Donne che Uomini.
Che non è una questione di quota rosa. Che non è solo una questione di genere. Ciò che mi muove nelle mie scelte di collaborazione è la capacità e la qualità artistica di ogni collega ma credo sia importante che quell’uno in più sia una Donna e che prima di tutto sia una magnifica Artista. Ritorno alla tua domanda dicendo che il numero 5 è legato all’Uomo Vitruviano e che 5 sono le dita di una mano. Una mano aperta che cerca di afferrare l’attimo, di accarezzare e che quando serve è un pugno di pietra in una porta chiusa. “Una mano può essere piuma e può essere ferro”.

Visto che ti piace il 5… mi dici 5 aggettivi per ciascun monologo di Avanti Veloce?
Per risponderti ho deciso di chiedere agli Attori di Avanti Veloce e a Giovanna Mangiù. Perchè da soli non si lavora mai. Avanti veloce sì, nasce da una mia idea e dalla mia direzione. Ma lo considero un progetto collettivo. Senza i magnifici testi di Palazzolo, Caspanello, Lisma, Prosa, Rondinelli, che sono dei fuoriclasse, e senza l’umanità, il talento, la professionalità e la creatività di Giovanna, Egle, Barbara, Alessandra e Giovanni, Avanti Veloce non sarebbe esistito. Aggiungo anche grazie alla fiducia da parte del Teatro e della Direzione Artistica, oltre all’altissima competenza delle maestranze tecniche e artistiche del Teatro Stabile di Catania. Noi ci mettiamo la faccia, altri la loro “Ars poetica” ma il Teatro è una macchina che per andare avanti e veloce ha bisogno di carburante, motore, ingranaggi, luci… solo così il viaggio è possibile.
Egle per il suo Buio di Tino Caspanello ha detto: RIVELATORE
Alessandra per il suo Mattula… di Luana Rondinelli ha detto: UBRIACO
Giovanni per il suo Le sette forature di Lina Prosa ha detto: SPIETATO
Io per  A me stesso di Rosario Palazzolo dico: UMANO (DISUMANO)
Barbara per il suo Lo specchio di Rosario Lisma ha detto: FEBBRILE
Giovanna per l’intero progetto ha detto: SINCERO.
E alla fine, mettendo insieme questi aggettivi, esce fuori il Teatro in cui credo fortemente: Rivelatore, Ubriaco, Spietato, Umano, Disumano, Febbrile e Sincero.

Scrivi, nelle tue note di regia, che: “Il teatro è dialogo, catarsi, luogo delle domande, spazio per nuovi interrogativi…”. Ma senza teatro, queste domande dove restano, dove si manifestano? Sono ancora valide? Senza dialogo, col pubblico, riescono a ottenere una risposta?
Credo che bisogna porsi sempre domande e che il dubbio metodologico sia parte integrante e motore per ogni addetto ai lavori. Un attore ha, secondo me, il dovere di porsi domande, di interrogarsi e interrogare. Le risposte a volte arrivano naturalmente, altre volte le devi cercare in un testo, sul palco, giorno per giorno, durante le prove e nelle reazioni del pubblico, appunto, in quel dialogo costante che è il Teatro. I video di Avanti Veloce vogliono rappresentare questo: tenere vivido e chiaro il bisogno di domande, non hanno la pretesa di dare risposte, piuttosto interrogare il Pubblico sull’utilità del Teatro (o sull’inutilità) anche come spazio concreto (oggi chiuso), come rito collettivo (oggi impossibile), come bisogno sociale. Le domande restano sospese, le risposte possono essere molteplici. E permettimi, a questo punto, di far intervenire Amleto e i suoi dubbi. Ma Amleto, nel suo percorso drammaturgico, è anche un giallo, un thriller che cerca di svelare chi è l’assassino! Una risposta, che è motore dell’azione, la si trova proprio all’interno del testo: «Il Teatro è la cosa con cui metterò in trappola la coscienza del Re». (Amleto – atto secondo, scena II)

Nel tuo monologo – A me stesso, firmato da Rosario Palazzolo – stai davanti alla macchina da presa, ponendoti domande e rispondendo come se fossi il tuo alter ego. E stai tra quinta e il palco. Sei sul bordo, sul crinale, stai al limite: perché non te le sei fatte sul palco queste domande sul teatro?
Stare, resistere, esistere. Il monologo A me stesso di Rosario Palazzolo, poeta che stimo profondamente, vuole rappresentare appunto ciò che ho cercato di condividere nella risposta precedente. L’interrogarsi sul valore, la possibilità del fallimento come possibile forma di esistenza. Lo stare al limite, come un funambolo, su quel balcone che si affaccia sul palco. Il senso del pericolo. Provare a volare ma anche avere il coraggio di frantumarsi a terra, è una possibilità. Nessun desiderio di autodistruzione, ci mancherebbe, ma il distruggere per costruire è una metodologia fondamentale nel nostro mestiere. Un processo di trasformazione che è sempre in atto nel mestiere dell’attore. Un poeta pensa un testo che scrive e che verrà strutturato per poi essere distrutto e ricostruito dall’attore, attraverso il corpo, la voce, il mondo emotivo per poi essere, ancora, condiviso con il pubblico che a sua volta costruirà un giudizio o pensiero o critica o stato emotivo in sè stesso…e tutto questo processo non è filosofico, non solo, ma concreto, diretto, in un divenire, appunto, infinito. In Avanti. Cito Palazzolo: «…perché il pensiero si fa parola e la parola si fa suono e il suono diventa oggetto e l’oggetto è un fatto oggettivo»  (da A me stesso).

Alla fine, pare salti fuori da questa messa in scena on line che – proprio in virtù della contemporaneità “pandemica” che tutti, indistintamente, stiamo vivendo – siamo immersi in un continuo gioco di luci e ombre. Non è neanche questione di vedere il bicchiere mezzo (pieno o vuoto): luci e ombre si compenetrano, si contaminano, si mischiano. E in tutto ciò dove si colloca il teatro? In tutto ciò che ruolo ha l’attore? E il drammaturgo? E un regista?
Sto leggendo un libro su Dante e su quanto è profondo, complesso, difficile il luogo del Limbo, che è orlo, bordo… un luogo di attesa e di luci e ombre. Non bisogna mai essere manichei, io ogni tanto lo sono, ahimè. Ma se non si è consapevoli delle proprie ombre non si potrà mai scoprire qual è la propria luce. Non c’è un solo bene, né un solo male. Non mi permetto di poter, o saper, rispondere a questioni così complesse come: dove collocare il Teatro? Ci sono molti teatri, molti attori, drammaturghi, registi. Con le loro luci e le loro ombre. Posso constatate che in questo momento storico, e con la crisi pandemica in atto, questo Limbo è immenso, doloroso, difficile ma anche eccitante. Uno stato di attesa perenne che però credo, lo ripeto, rappresenta una grande opportunità per porsi nuove domande, senza allori o facili vittorie. Viviamo in un viaggio di conoscenza. Quest’ultimo anno è stato un anno importantissimo per me, di studio, approfondimento, ricerca, autoanalisi e Avanti Veloce è nato proprio durante il primo lockdown (Dante direbbe confinamento), chiuso in casa studiavo nel progettare il mio Avanti. Spero che ognuno, un giorno, possa incontrare la propria Beatrice che è il Teatro. Che non è un Paradiso ma che è amore. Senza amore per sè e per questo mestiere si continuerà a vivere un Inferno infinito.

Una domanda banale anche per finire: quanto ti manca la scena? Davvero non ci sono mezzi – tecnici, digitali – che possano comunque farti entrare in scena e dare almeno l’impressione (o la finzione…) di recitare per qualcuno, per il pubblico?
Quanto manca la scuola in presenza agli studenti e agli insegnanti?
Quanto manca una sala piena a un ristoratore?
Quanto manca un negozio pieno di clienti a un commerciante?
Quanto manca un giorno di riposo a un medico o a un infermiere?
Quanto manca un amore lontano ad un innamorato?
Quanto manca un parente defunto?
Quanto manca una dignità professionale ai lavoratori dello spettacolo in Italia?
Quanto manca l’aria a un paziente in terapia intensiva?
Quanto manca un abbraccio?